Di Antonio Socci
Libero, 11 marzo 2012
Il Papa si dimetterà? Quando, il 25 settembre scorso, su queste colonne, scrissi che Benedetto XVI – in vista degli 85 anni – stava valutando anche la possibilità delle dimissioni, riferivo delle voci che mi erano arrivate da tre fonti indipendenti e credibili della Curia romana.
Personalmente non auspico per nulla tali dimissioni, anzi, ammirando papa Ratzinger, spero in un suo lungo pontificato. Ma è un dovere – per chi fa questo lavoro – riferire anche le cose che non piacciono.
Soprattutto quando sono accreditate dalle parole dello stesso pontefice in un libro intervista uscito nel 2010, in cui il Santo Padre – in via di principio – sottolinea apertamente per il papa “il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi”.
Il mio articolo fu attaccato – come se io mi fossi inventato uno scoop per fare clamore – da qualche collega (vaticanista e no) frustrato per aver bucato la notizia o, in certi casi, semplicemente per livore personale.
Inoltre fui liquidato dalle sprezzanti parole di qualche anonimo vaticano (terrorizzato dalla possibilità di perdere la poltrona) che mi condannava per lesa maestà, dimenticando che era stato lo stesso Ratzinger a fare pubblicamente questa ipotesi (negli ambienti clericali, dove abbondano il bru bru e la squallida ferocia del pettegolezzo, non si capisce un grande papa come l’attuale che vola alto sulla palude, discutendo di tutto serenamente e alla luce del sole).
Dal giorno in cui uscì quel mio articolo – con buona pace dei vaticanisti italiani – i boatos sulle possibili dimissioni del papa si sono moltiplicati, soprattutto sulla stampa straniera. Sono usciti poi articoli che fanno pettegolezzi sullo stato di salute del pontefice. Trovando mezze conferme in qualcuno dei documenti riservati usciti in questi mesi dai sacri palazzi.
A me non piacciono le discussioni sulla salute dei personaggi pubblici. Del resto mi pare ovvio che un uomo di 85 anni non abbia le energie di uno di 50 (e lo dimostra il calendario dei viaggi internazionali di Benedetto XVI, ormai ridotti al lumicino).
Ma il tema delle dimissioni del papa ha ben altro spessore e merita riflessioni serie.
Lo ha dimostrato ieri Giuliano Ferrara con un lungo articolo sul Foglio dove ha ragionato da par suo – elevandosi al di sopra dei pettegolezzi e delle ipocrisie clericali – sul significato e sulle conseguenze che avrebbero le dimissioni di Benedetto XVI.
Ha senso parlarne, anzi è doveroso, proprio perché è stato per primo lo stesso papa Ratzinger, nel libro-intervista con Peter Seewald, a proclamare tale possibilità e a lanciarla nel dibattito pubblico.
Del resto le dimissioni di un Papa sono previste dal Canone 332 del Codice di diritto canonico e storicamente non sono un inedito. Si sono verificati casi del genere sia nei primi secoli cristiani che nel Medioevo.
Lo stesso Paolo VI stava prendendo in considerazione questa possibilità (morì però in quelle stesse settimane). Infine è stato scritto che Pio XII, minacciato di deportazione dai nazisti, sotto l’occupazione tedesca di Roma scrisse una lettera di dimissioni da rendere pubblica in caso fosse stato fatto prigioniero, affinché Hitler non potesse mai dire di avere nelle sue mani il Vicario di Cristo, ma solo il cardinal Pacelli.
Dunque – venendo a Benedetto XVI – va detto che la tempesta che ha travolto in questi mesi la Curia vaticana, in particolare la Segreteria di stato, allontana l’ipotesi di dimissioni del papa, il quale ha sempre precisato che esse sono da escludere quando la Chiesa è in grandi difficoltà e perciò potrebbero sembrare una fuga dalle responsabilità.
D’altronde nel caso di papa Ratzinger non si tratterebbe di un drastico ritiro in qualche abbazia bavarese, a studiare, a scrivere e pregare (come ha sempre sognato di poter fare in vecchiaia), perché tornando cardinale di fatto tornerebbe a ricoprire anche quella carica di Decano del Sacro Collegio che aveva già nel Conclave del 2005, da cui uscì pontefice.
Azzerate le cariche di tutti gli altri, il Decano – secondo le norme vigenti – celebra la messa solenne “pro eligendo romano pontifice” e guida le congregazioni all’elezione del nuovo papa. In pratica il cardinale Ratzinger – oltretutto da ex pontefice che ha nominato gran parte di quei prelati – si troverebbe a orientare assai autorevolmente la scelta del suo successore.
Ferrara non conosce questo dettaglio tecnico, ma proprio tale dettaglio avvalora molto il suo acuto ragionamento e le sue conclusioni. Vediamo dunque l’analisi di Ferrara.
Il direttore del Foglio, che da sempre è un estimatore di Ratzinger (stima ricambiata dal pontefice), spiega che considerando la situazione, di per sé, viene da escludere le dimissioni, ora che il Papa è nel pieno della sua opera di purificazione della Chiesa, di restaurazione liturgica, di rilancio missionario e dottrinale.
Lo aspettano l’importante viaggio in centro America, il grande raduno sulla famiglia a Milano e soprattutto l’Anno della fede che ha fortemente voluto, con il quale arriverà anche la sua enciclica sulla fede che è il centro del suo pontificato.
Tuttavia è anche evidente l’opposizione del mondo e di un certo establishment teologico-clericale alle “grandi intuizioni” di Benedetto XVI e del predecessore, dalla traumatica (per la modernità laica) affermazione di “Cristo unico mediatore di salvezza” allo “sradicamento della speranza messianica incarnata nella rivoluzione politica”, dalla chiara messa a punto nei confronti dell’Islam arrembante (Ratisbona), alla “ragione che argomenta la fede e si porta nello spazio pubblico” fino alla “legittimità della politica riguardo alle questioni non negoziabili dell’umanesimo cristiano (il discorso al Bundestag e molto altro)”.
Si potrebbe proseguire con la questione della morale in una modernità senza più orientamento umanistico e con il ritrovamento dell’antica liturgia della Chiesa a fronte delle dissennatezze post-conciliari.
Con tutti questi fronti aperti le dimissioni sono impensabili, secondo Ferrara. Eppure, aggiunge subito dopo, proprio un colpo di reni del genere potrebbe paradossalmente risvegliare tutta la Chiesa come uno straordinario choc:
“Un Papa che si dimette perché ritiene spiritualmente un dovere assecondare un rinnovamento e rilancio che non cancelli il suo stesso magistero, ma anzi lo rilanci, ha indirettamente la possibilità di influenzare con maggiore tempra e fondamento la successione (…). Realizza un sogno personale (…). Scombussola certezze tradizionali secolari, innova radicalmente, promuove un’età regnante che renda meno ingovernabile il popolo di Dio (…) e toglie ogni lentezza, stanchezza o spirito difensivo alla casa romana di Pietro. L’azzardo è forte”, ma “chissà che un giorno al Papa non appaia come un raddoppio di quella forza il gesto sovrano e papocentrico delle dimissioni”.
Di certo, come dice Ferrara, se c’è un Papa capace di fare un tale gesto di libertà spirituale e di giovinezza cristiana “questo Papa si chiama Benedetto XVI”.
La riflessione di Ferrara è geniale e, secondo me, coglie nel segno. Aggiungo un solo argomento: la totale consegna di sé nelle mani del Signore, fatta da Benedetto XVI, deriva dalla sua certezza granitica che comunque è Gesù stesso a guidare la Chiesa ed è sempre lui a rinnovarla attraverso i carismi, suscitando santi e profeti, infine con un’imponenza di fatti soprannaturali nei tempi moderni – da Lourdes a Fatima e Medjugorije – che pare inedita nella storia bimillenaria della Chiesa: Medjugorije significa un mare di conversioni che non ha eguali negli anni del post-concilio e che nessuna burocrazia clericale aveva progettato né immaginato.
Il Papa – a differenza di tanti prelati – è certo che non è la sociologia, ma il miracolo a far vivere la Chiesa e a proiettarla nei secoli. Ed è questa la vera fonte delle sorprese. Imprevisti e miracoli fanno la storia della Chiesa.
::